In Italia, a meno che non si tocchino livelli insostenibili, i problemi sono ignorati. Quello dei rifiuti è uno dei tanti, ne soffrono più o meno quasi tutte le città, ma sembra che questa sofferenza sia dovuta.
A Mazara, come a Napoli, la munnizza aumenta vertiginosamente e se la discarica non la può contenere, se ne crea un'altra. Intanto dalla vecchia continua a giungere in falda percolato e se la qualità dell'acqua peggiora chi se ne importa? Tanto è inquinata da anni, i cittadini hanno protestato, ma il tempo provvederà a stancarli e si abitueranno ad avvelenarsi lentamente. Nitrati? Arsenico? Le percentuali altissime rilevate dalla analisi sono dati sulla carta che non fanno smuovere neanche la magistratura.
Conviene che la quantità dei rifiuti sia enorme, gli inceneritori ne hanno bisogno e chi li ha voluti e costruiti ne ha ancor più bisogno.
Forze occulte o non tanto occulte guazzano sui rifiuti.
Esiste, infatti, una filiera dell'inquinamento: si comincia con chi produce l'oggetto inquinante, si passa a chi lo distribuisce e poi a chi lo compera e ne disperde quel tanto (troppo) che diviene rifiuto. Ma non è finita, a questo punto comincia l'azione di chi raccoglie il rifiuto e successivamente quella di chi lo distrugge. Cinque attori, ma chi di essi è accusato? Esattamente chi sta in mezzo alla filiera dell'inquinamento, stretto fra gli interessi di chi lo causa da un lato e di chi lo riduce - e invece ne peggiora gli effetti - dall'altro.
L'industriale produce l'inquinamento ed è pronto a disinquinare. Bella storia! Il capitale sceglie di inquinare poi sceglie di disinquinare, tutto a spese del cittadino!
Se lo Stato volesse veramente risolvere il problema, lo attaccherebbe alla radice e, invece di mandare i carriarmati contro i poveri cittadini che non vogliono morire dei veleni delle discariche, obbligherebbe le ditte alla riduzione degli involucri e all'uso di materiali non inquinanti.
Ma la gestione dei rifiuti produce ricchezza, se si dovesse intervenire, si arresterebbe la filiera e si produrrebbe disoccupazione.
La munnizza fa lavorare chi la produce.
Come si interrompe questa catena, se l'eliminazione di certe abitudini crea disoccupazione?
La strada da percorrere è culturale ed altri paesi l'hanno percorsa, giungendo ad un maggiore rispetto collettivo nei confronti dell'ambiente, mentre in Italia questa cultura è lenta ad attecchire.
Una volta chi beveva la birra doveva riportare indietro la bottiglia. C'era un risparmio di materia prima. Oggi qualche passo nella riduzione dei rifiuti lo comincia a fare chi immette sul mercato prodotti con imballaggi leggeri, il supermercato che distribuisce prodotti alla spina e i cittadini più responsabili, che penalizzano, nella scelta di acquisto, produttori e distributori che non si allineano.
La scelta è etica, bisogna pensare al bene comune. Se non lo fa lo Stato lo fa il cittadino.
(dalla discussione del 3 novembre 2010)
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