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venerdì 19 settembre 2008

Agricoltura di sussistenza

In ogni società il cambiamento non avviene a caso, né repentinamente. È un processo che parte da un disagio, giunge alla fase finale al manifestarsi di un pericolo e si concretizza quando, nei vari ambiti dove si realizza, comporta più benefici che costi.

È il caso della nascita degli orti urbani e dei mercati del contadino, inventati per difesa contro il caro-orto-frutta, rappresentano anche un tentativo di contrasto verso prodotti non genuini che deludono il gusto e intaccano la salute.


Ma si può parlare di vera invenzione o non è piuttosto la rivisitazione, la rinascita di qualcosa che è stato?

Si chiamava - e oggi presso popolazioni che etichettiamo come sottosviluppate o in via di sviluppo, si chiama - agricoltura di sussistenza.

Si coltiva per sé e, se ne avanza, si scambia con chi produce o sa fare altro.

Lo stravolgimento di una pratica, nata con il primo uomo sulla terra, è avvenuto progressivamente.

In Europa, con la privatizzazione delle terre collettive, avvenuta in Inghilterra a partire dal 1750, si dà il via all'industrializzazione dell'agricoltura, all'accaparramento per la speculazione, con il conseguente arricchimento di pochi contro l' “affamamento” di molti.

Gli effetti di un processo, viziato fin dall'origine, oggi sono sotto gli occhi di tutti e si ritorcono anche sulle società che di questo tipo di sviluppo sono state le artefici e dal quale hanno tratto i maggiori benefici.

E si doveva arrivare al capolinea per capirlo!

Crollo della finanza e dell'economia, aumento delle malattie legate all'inquinamento costringono a chiedersi se l'industrializzazione era e rimane l'unico tipo di sviluppo possibile.

C' è chi lavora da molto tempo sulle alternative, ma intanto, noi cittadini, possiamo sperimentare piccole soluzioni a grandi problemi.

Le contingenze aguzzano il cervello. L'ha già detto qualcuno.
Silvana Mannone

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bill Mollison, australiano, fondatore nel 1979 del primo Istituto di Permacultura, sosteneva che una societá sostenibile é basata su una agricoltura sostenibile, figlia di una cultura della sostenibilitá e di un uso etico della terra.

Cura della terra, cura delle persone, condivisione delle risorse: questi sono i principi etici che Mollison pone per il mondo nuovo. Alla scelta obbligata di oggi tra il cittadino-consumatore, che dipende dall´esterno in tutto e per tutto (cibo, energia e acqua) e l'imprenditore agricolo-produttore, che dipende a sua volta dal petrolio e dall'industria, lui propone una nuova figura: il permacultore. Un uomo libero e autosufficiente, altamente informato e versatile, radicato nella realtá in cui vive (sia essa cittá, periferia o campagna) di cui conosce necessitá, risorse e potenzialitá. Il permacultore progetta la riqualificazione del proprio territorio tramite conoscenze basate sull’osservazione dei sistemi naturali, con interventi mirati alla creazione di relazioni positive tra gli elementi che costituiscono gli insediamenti umani (persone, piante, animali, case, infrastrutture).
Il contributo che ho inviato l'ho trovato in un sito che in questo momento non ricordo. Quando lo ritrovo lo invio xche' e' veramente interessante