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domenica 25 luglio 2010

"L'acqua e la nostra indifferenza" di Marcello Benfante

Repubblica — 24 luglio 2010 pagina 1 sezione: PALERMO MARCELLO BENFANTE

STAMANI, sotto la doccia, non ho potuto fare a meno di pensare a un vecchio film di fantascienza: "2022: i sopravvissuti". La regia? mi sono chiesto, cercando di allontanare una vaga angoscia. E sono andato subito, quasi grondante, a consultare il "Dizionario dei film" del Mereghetti: "Soylent Green", Usa, 1973, di Richard Fleischer. Ma l'angoscia scaturiva da un ricordo-sequenza davvero opprimente: Charlton Heston che usufruisce del raro privilegio di una doccia in un mondo snaturato che sopravvive grazie a un inconsapevole cannibalismo. Ogni anno che passa la vecchia buona science fiction diventa sempre più realistica, sempre più attuale e meno profetica. E non ci vuole molto a prevedere che in poco più di un decennio la situazione potrebbe sul serio precipitare. L'allarme acqua in Sicilia è già scattato (e d'altronde, su questo fronte è stata sempre una continua emergenza). Ci eravamo preoccupati per lo sprofondamento di 70 metri delle falde acquifere etnee. E subito dopo, come un destro-sinistro da knock out, arriva la notizia che gran parte della zona costiera, da Palermo a Ragusa, da Catania a Marsala, è interessata da un abbassamento di minore entità, ma anche più inquietante a causa del rischio di contaminazione col sale marino. oLtre alla quantità, sempre più scarsa, esiste quindi anche un problema della qualità delle acque, che si rivela sempre più scadente. Le cause, convergenti, sono due: la diminuzione della piovosità e l'aumento dei prelievi. Questi due fattori determinano infatti il livello delle falde. Ma è difficile immaginare che i consumi possano diminuire. Anzi, è lecito (e forse perfino auspicabile in termini economici) ipotizzare che i consumi siciliani in futuro tenderanno ad avvicinarsi alla media nazionale che è di 213 litri a testa, mentre gli agrigentini, per esempio, se ne fanno bastare meno della metà. Bisogna quindi intervenire sulle perdite, che ammontano a una media del quaranta per cento. Insomma, tappare i buchi. Ma non basta, occorre anche la pioggia. E non serve pregare o magari sparare alle nuvole per ottenerla. Ci vuole una seria politica ecologica, una progettazione territoriale che miri a riequilibrare un contesto idrogeologico fortemente compromesso (come ci segnalano anche le sempre più frequenti frane). Ma la parola progettazione, pur così preziosa, è anche infida, ché ci proietta e aggetta in un domani indefinito, nebuloso (ma non necessariamente gravido di piogge). Al problema dell'acqua bisogna invece dare una risposta immediata in termini di risoluzione e di efficienza. I nostri amministratori avranno sicuramente studiato un po' di filosofia e ricorderanno quel che diceva Talete di MiO leto. Se l'acqua è il principio di tutte le cose (l' arché) è proprio da essa che dobbiamo cominciare o ricominciare. Così hanno fatto quei cittadini (ben un milione e quattrocentomila) che hanno firmato la richiesta di un referendum contro la privatizzazione dell'acqua: insolita notizia rassicurante sullo stato di salute della nostra cagionevolissima democrazia. D'altronde è proprio "sulle implicazioni sociali e morali dell'acqua" che l'architetto anarchico Colin Ward basava una sua riflessione sulla città solidale. E che la sua analisi riguardasse la Gran Bretagna, nulla toglie alla validità, anche per noi, del suo messaggio: "Il dramma è che nessuno sa come tornare all'antica saggezza secondo cui l'acqua, bene vitale quanto il sangue, deve essere condivisa e conservata". Ove il "nessuno sa" va inteso come ironia dell'utopista che sa bene, al pari dei suoi contendenti, ciò che andrebbe fatto col più elementare buon senso e realismo. In Sicilia (tutti lo sanno) le lotte per l'acqua sono sempre state lotte contro la mafia, come l'esperienza di Danilo Dolci ci ha insegnato. Ma sono state e sono anche battaglie, il più delle volte perse, contro i nonsensi della burocrazia, la sua inettitudine e le sue negligenze (che talora colludono con gli interessi mafiosi). Qualcuno dovrà spiegarci come mai la disponibilità degli invasi non si traduce operativamente in un'irrigazione delle campagne, che invece rimangono assetate e quindi non pienamente produttive. Talora si tratta di guasti alle condotte apparentemente irreparabili. Talaltra di tubature fatiscenti e da sostituire, ma evidentemente insostituibili. Guarda caso, si tira avanti con i pozzi privati. Ma il fatto è che ormai, privata o meno, l'acqua scarseggia. La vecchia metafora dell'acqua alla gola non rende più l'idea. Siamo con l'acqua alle caviglie. E forse questo spiega la lentezza dei provvedimenti. Come se sprofondassimo in una palude, ovviamente non potabile. Mentre l'acqua lambisce il nostro tallone d'Achille, forse potremmo ripensare alle sagge parole del Tao-Tê-ching: "Niente al mondo è più molle e debole dell'acqua; ma nell'avventarsi contro ciò che è duro e forte, niente può superarla". Proprio perché posta in basso, dice il Tao, l'acqua indica la Via. E potrebbe essere la forza trascinante e travolgente di una grande protesta civile. Che non sia allora proprio questa siccità, questo venir meno delle riserve vitali, il modo in cui noi siciliani possiamo rivedere il nostro rapporto con la cosa pubblica, le istituzioni, la politica, il nostro atavico servaggio? Sarebbe, per dirla in qualche modo con Talete, un principio anche questo. - MARCELLO BENFANTE

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