(fonte Il Manifesto 26.06.2009)
di Vito Bianco - PALERMO
TERRITORI altra italia
L'acqua DEL SUD LA SICILIA DEI PADRONI DEL COMUNE
Nonostante le sue 47 dighe, l'acqua nell'isola costa sempre più cara. A Palermo giornata di studi contro la privatizzazione dell'acquedotto pubblico regionale. Mentre il mare del Belpaese è mangiato dagli abusi e dal cemento
Dare l'acqua agli assetati. Avrebbe potuto essere questo il titolo della giornata di studio e confronto che si è svolta giovedì nella Sala delle Lapidi del Comune, voluta e organizzata dal Cepes, il Centro studi di politica economica diretto dall'instancabile novantenne Nicola Cipolla, figura storica della sinistra palermitana. Il titolo era invece No alla privatizzazione dell'acqua bene comune, e si proponeva di fare il punto della situazione a poco più di un mese dall'Assemblea nazionale che si è svolta all'Ars il 14 maggio (erano presenti i rappresentanti 65 comuni siciliani, i sindacati, molte associazioni culturali e i comitati per l'acqua), nel corso della quale è stato presentato lo schema di un progetto di legge di iniziativa popolare, sostenuto dal Movimento dei sindaci, che si propone di ripubblicizzare la gestione del servizio idrico in Sicilia. I caposaldi della proposta sono: la soppressione degli Ato, gli organismi che per conto di Siciliacque (posseduta dalla francese Veolia, attiva anche nello smaltimento dei rifiuti) si occupa dell'approvvigionamento idrico facendone notevolmente aumentare il prezzo, l'istituzione di un organismo centrale che si assuma il compito della supervisione, e l'affidamento alla responsabilità dei municipi - attraverso la creazione di Consorzi ad hoc - della gestione dell'acqua nei suoi due principali usi, l'irriguo e il domestico.
L'assunto che muove l'azione di quello che nel frattempo è diventato il Coordinamento nazionale dei comuni è semplice ma inattuato: l'acqua è un bene primario che non può essere degradato a merce. Dovrebbe essere ovvio, ma nella regione del governatore "commissario straordinario per l'emergenza idrica" non lo è; qui al contrario la normalità è la speculazione e la penuria, nonostante che nell'isola, con le sue 47 dighe, l'acqua ci sia sempre stata; però costa cara, viene sprecata e si inseguono soluzioni mirabolanti per demagogia e per alimentare un rivolo inarrestabile di clientelismo.
Molti gli interventi, di sindaci, sindacalisti e tecnici che da anni studiano la questione idrica qui da noi e nel resto d'Europa; dai quali è forse possibile estrarre un comune denominatore, riassumibile nella argomentata presa d'atto del fallimento della privatizzazione e del suo mito, che ha fatto breccia anche a sinistra (lo ha ricordato Salvatore Bonadonna), a lungo opzione obbligata nel segno di una malintesa modernizzazione.
«Qualcuno ha pensato che il mercato si autoregolasse, che ne derivassero benefici per il consumatore, e invece ha fatto cartello» ha detto Antonella Leto, che coordina il Gruppo enti locali. Prima di lei Nicola Cipolla aveva svolto una rapida cronistoria del disastro, raccontando con dovizia di particolari l'assurdo destino di una terra che sembra condannata a patire la sete e a riempire di cisterne i tetti dei condomini (era una delle ultime immagini di Sete d'acqua in Sicilia, il bel documentario di Ottavio Terranova che ha aperto i lavori). Sul fronte dei sindaci erano molto attesi gli interventi di Rosario Gallo, primo cittadino a Palma di Montechiaro, di Giovanni Panepinto che guida il comune di Bivona, e di Domenico Giannopolo, che la stessa responsabilità a Caltavuturo. Gallo è il portavoce dei sindaci dell'agrigentino («rappresento la Sicilia più assetata e la più carente di acqua potabile»); nella sua provincia la rete idrica disperde il 70% dell'acqua, e ha il prezzo più alto. Per lui, «la questione fondamentale è avere la possibilità del governo del territorio, perché il privato aumenta i costi e abbassa la qualità del servizio. E tutto questo avviene a causa della totale assenza della politica. Sono convinto», ha aggiunto, che «acqua, energia e rifiuti costituiscano un unico fronte di lotta». Sui tempi di rifinitura e di presentazione nell'aula della proposta è netto: entro settembre.
Per il versante del problema che tocca la sussistenza e lo sviluppo dell'agricoltura sono intervenuti Maurizio Lunetta e Pippo Di Falco, sindacalisti della Cia. Entrambi hanno descritto gli scompensi e l'inefficienza degli 11 Consorzi che attualmente gestiscono l'acqua per l'irrigazione e lo stato di crisi acuta in cui si trova l'agricoltura siciliana, che vede una progressiva perdita degli addetti in fuga verso migliori condizioni di lavoro. «Ci vogliono 120 litri d'acqua per fare un bicchiere di vino» ha detto Lunetta, a sottolineare la preziosità del vino e l'apporto imprescindibile dell'acqua, e la conseguente necessità di rendere più razionale e mirata l'erogazione. Mentre Di Falco, in coda al suo intervento ha fatto aleggiare l'immagine della diga Gibesi, nei pressi di Ravanusa (Ag), costruita dall'Ente minerario cinquant'anni fa e mai messa in funzione: un simbolo inquietante di una politica sciagurata, ma anche uno stimolo a far presto e bene perché si muore (diceva Danilo Dolci) e perché non è scritto da nessuna parte che non si possa cambiare.
Anche per Giannopolo l'autonomia decisionale degli amministratori locali è la chiave di volta per la soluzione del problema, magari dando ai comuni la possibilità di partecipare ai cofinanziamenti nell'abbinamento pubblico-privato: dal 46% truffaldino che tagliava fuori gli enti locali a vantaggio della Regione che così aveva in mano il business e il foraggio per la clientela, a un più abbordabile 6, fatto però salvo il controllo dei municipi. Dopo di lui Antonio Marotta ha spiegato come si struttura il sistema delle holding, la complessa filiazione di scatole cinesi che garantiscono grandi affari quasi mai puliti a spese della comunità. Istruttivo e scoraggiante.
Il sindaco Panepinto è misurato ma non nasconde l'insofferenza per uno stato di cose che sfida la logica e il buon senso, ma nello stesso tempo fa una saggia professione di realismo: «La gente deciderà di stare con noi non sulla forza del principio dell'acqua bene comune e inalienabile, ma perché l'acqua è cara. È facendo perno sulla prospettiva dell'abbattimento dei costi che la spingiamo alla mobilitazione». E aggiunge: «Questa non è una guerra di posizione, che si combatte stando in trincea. La battaglia si vince o si perde da qui a novembre». Ma prima di quella data ci sarà tempo per altri confronti, per arricchire un progetto che ha un obiettivo ambizioso ma realistico: restituire ai cittadini siciliani un diritto fondamentale, il diritto all'acqua.
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