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venerdì 28 maggio 2010

Referendum acqua: la chiarezza paga

L'articolo che pubblichiamo è una presa di posizione di una parte politica e aiuta a riflettere. Non è recente, il riferimento alle firme raccolte ce lo dimostra. Oggi sono quasi 700mila! Ma il tema è quantomai attuale.

Partito Democratico e Italia dei Valori non partecipano.
Meglio così: è più chiaro chi sono gli amici e chi sono i nemici dell'acqua pubblica e della campagna referendaria.
Authority pubblica e società a capitale pubblico-privato: sono solo il cavallo di troia della privatizzazione


di Tiziano Bagarolo
(Direzione nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori)

La campagna referendaria per l'acqua pubblica è partita in modo straordinario: più di 100 mila firme nei primi due giorni di raccolta, il 24 e 25 aprile, già 250 mila dopo 10 giorni. E' questo il primo successo politico dell'iniziativa: la prova di una grande sintonia con larghi settori popolari, la dimostrazione che quando i contenuti sono chiari, anche nell'Italia di oggi si possono costruire battaglie popolari e vincenti.
L'altro dato politico importante è l'assenza del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori da questo grande movimento. E non è un caso.

Non credo che ci si debba dispiacere se questi due partiti non ci sono. Anzi, c'è solo da rallegrarsene. Si tratta di un elemento di chiarezza politica.
PD e IdV sono due formazioni, al di là delle differenze fra loro, politicamente liberali e socialmente "borghesi": rappresentano e difendono l'ordine capitalistico esistente, al di là dei ritocchi riformistici che possono essere disposte a concedere.
Il movimento per la difesa dei beni comuni è invece, nella sua logica profonda, anche al di là dell'autopercezione di molti dei soggetti che lo animano, un movimento anticapitalistico, perché rifiuta di sottostare agli imperativi delle privatizzazioni, del mercato e del profitto, a cui contrappone la proprietà comune, la gestione pubblica sottoposta al controllo democratico dei lavoratori e degli utenti, la priorità dei bisogni delle persone e l'attenzione ai vincoli ambientali.
Dunque è bene che i rispettivi ruoli non si confondano: la campagna referendaria da una parte; PD e IdV dall'altra. Sarà più chiaro per tutti chi sono gli amici e chi sono i nemici dell'acqua pubblica.

Per altro, questa non è una contrapposizione "ideologica" fatta a tavolino. E' una conclusione che discende innanzi tutto dalla storia delle privatizzazioni in Italia, e di quella dell'acqua in particolare. Nella politica di smantellamento del settore pubblico e di privatizzazione dei beni comuni il centrosinistra ha giocato negli ultimi quindici anni un ruolo di punta, non certo di freno. Da Bassanini a Prodi, da De Benedetti a Luigi Bersani, passando per le amministrazioni locali targate centrosinistra, in particolare in Toscana e in Emilia, i soggetti confluiti nel Partito Democratico hanno lavorato attivamente per consegnare nelle mani del capitale i servizi pubblici locali. Il ministro Di Pietro ha firmato in prima persona alcuni di questi provvedimenti normativi e l'Italia dei Valori, a Roma come a Strasburgo, su molte questioni cruciali, non ha fatto mancare il suo voto ai provvedimenti di liberalizzazione e/o di privatizzazione, dal federalismo fiscale alle nuove norme europee sull'orario di lavoro.

La loro pretesa di essere a favore, con altri mezzi, della battaglia per l'acqua pubblica, va denunciata per quello che è: una menzogna propagandistica, un tentativo maldestro di recupero verso un movimento di cui non hanno il controllo, una pericolosa operazione di oscuramento dei veri contenuti della campagna referendaria, premessa del tentativo di svuotamento e di tradimento della battaglia contro la privatizzazione e per la ripubblicizzazione dell'acqua.

Queste considerazioni non vogliono proporre di erigere steccati contro il popolo che ha votato centrosinistra e PD e IdV in particolare; e neppure contro singole personalità o strutture di base di questi partiti. Tutt'altro. Se alcuni di costoro si uniscono ‒ convintamente e non strumentalmente – alla campagna referendaria non c'è problema: la contraddizione è tutta loro, e occorre lavorare perché la risolvano nel senso positivo di una rottura con le posizioni liberali. Ma nessuna concessione di principio deve essere fatta alle posizioni di PD e IdV.

La forza della campagna referendaria è proprio la chiarezza della sua impostazione, il messaggio semplice e diretto che riesce a comunicare ai cittadini e ai lavoratori e che trova spontanea adesione in convinzioni per fortuna ancora largamente radicate: sui beni comuni e sui servizi pubblici essenziali non ci si può affidare alle mere logiche economiche del mercato e del capitale, a nessuno deve essere consentito di fare profitti su un bisogno umano essenziale; i beni comuni devono restare proprietà di tutti e la loro gestione deve restare pubblica.

Non è ancora una posizione anticapitalistica chiara in termini complessivi, ma è la base su cui lavorare per far comprendere il fallimento delle politiche liberiste e del mercato e più in generale dell'economia capitalistica, e per riformulare oggi una ipotesi credibile di socializzazione dell'economia. La battaglia dell'acqua ha anche questa posta in gioco.

La campagna referendaria è solo il primo passo di un percorso tutt'altro che scontato in cui non mancheranno strettoie istituzionali che cercheranno di bloccare o di deviare questo movimento. E' bene sapere fin da ora che non sarà facendo affidamento alle disponibilità interessate che potranno venire dal PD o dall'IdV che questa battaglia potrà vincere, ma soltanto facendo leva sulla mobilitazione che riuscirà a costruire dal basso nel paese e per la quale la chiarezza dei contenuti e delle prospettive è una condizione imprescindibile.
L'acqua non deve essere merce, ma diritto universale; l'acqua non si vende, deve restare bene pubblico; fuori l'acqua dal mercato, fuori i profitti dall'acqua: sono punti su cui non c'è mediazione possibile.

Le ipotesi avanzate dal PD e dall'IdV (istituzione di una authority pubblica di controllo, affidamento a società a capitale misto a prevalente capitale pubblico) sono solo il cavallo di troia della privatizzazione. Per questo vanno respinte e su di esse va fatta da subito la dovuta chiarezza.
In tutte le operazioni di privatizzazione dei servizi pubblici attuate in Occidente negli ultimi trent'anni si sono costituite authority pubbliche con compiti di controllo. Ma non occorre essere dei marxisti per capire che si tratta in generale di mere operazioni d'immagine volte a coprire con una foglia di fico “pubblica” le vergogne della privatizzazione. Ha scritto in proposito l'economista Riccardo Realfonzo (sul sito “Economia e politica”; anche in questo blog): «Ora il Partito Democratico annuncia una proposta di legge di riordino del settore che, riprendendo in buona misura le tesi avanzate dal sito “lavoce.info” [un sito che dà voce agli economisti di orientamento liberista, ndtb], sembra ruotare intorno alla creazione di una nuova authority, che dovrebbe controllare una gestione sostanzialmente affidata ai privati. Vengono quindi rispolverate tesi già avanzate in occasione di passate operazioni di privatizzazione. E va da sé che, anche in questo caso, assisteremmo alla creazione di un altro organismo inutile, del tutto impotente rispetto alle multinazionali dell’acqua, al punto che gli esiti rischierebbero di non essere diversi da quelli del decreto Ronchi.»

Ancor peggio la proposta di affidare i servizi idrici a società a capitale misto (che non a caso corrisponde proprio alla strategia delle multinazionali del settore...) o il ricorso ad altre formule giuridiche di natura privatistica, avanzate non solo dal PD o da IdV ma a volte anche in settori vicini al movimento. Queste infatti non solo non garantiscono alcuna “efficienza” ma non fanno che subordinare il pubblico al privato, gli interessi collettivi alla logica del profitto.
Bisogna ricordare, infatti, che nel settore dei servizi la concorrenza è facilmente aggirabile (una volta avuta una concessione trentennale, il capitale, pubblico o privato o misto, opera di fatto in condizioni di monopolio): la qualità del servizio può in ogni caso essere garantita soltanto da un efficace controllo democratico esercitato dai lavoratori e dagli utenti.
D'altra parte, è evidente che nessun capitalista investirà un euro in un impresa in cui non ha voce in capitolo, o se non pensa di guadagnare adeguatamente.
C'è di più: spesso gli organismi di gestione delle società miste danno ai privati minoritari un potere di veto che consente loro di imporre le proprie strategie produttive, non certo dettate dagli interessi e dai bisogni dei cittadini.
Ma la commistione pubblico-privato ha un altro effetto perverso: salda una complicità inestricabile fra investitori privati e amministratori pubblici, per cui le amministrazioni pubbliche finiscono per diventare strumenti diretti degli imprenditori privati (come già è accaduto in molti casi di privatizzazioni dell'acqua attuate negli anni scorsi in Italia...). Se possibile, la formula del capitale misto è ancora peggio della semplice privatizzazione...

Su questi temi si giocherà in futuro la partita per svuotare i referendum e sconfiggere la battaglia contro la privatizzazione dell'acqua e degli altri beni comuni. Dobbiamo esserne coscienti. E' bene cominciare subito a fare chiarezza e a indicare senza tentennamenti i nemici più infidi dell'acqua pubblica: PD e IdV.

altro al link http://tbagarolo.blogspot.com/2010/05/referendum-acqua-le-differenze-fra-i.html.

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